Se la remotizzazione è il trend topic del mondo business dal tempo del lockdown, lo spunto per sporgersi oltre e delinearne le caratteristiche del futuro in un ambito specifico – quello del BPO – ci è dato, questa volta, dal Webinar CMMC organizzato da Mario Massone.

Le caratteristiche del BPO – settore labour intensive, alta concentrazione di personale in ampi spazi organizzati per poter esercitare leadership e controllo sui team,  vincoli tecnici e tecnologici che pongono sfide di diversa natura alla remotizzazione – hanno reso nel tempo difficili le trasformazioni radicali in ambito di lavoro decentralizzato. È quindi stato interessante apprendere i work around e le soluzioni che sono state implementate durante la fase 1 per mettere in sicurezza lavoratrici e lavoratori. A distanza di tempo è possibile cogliere gli aspetti vincenti e quelli problematici che costituiscono opportunità e vincoli per l’evoluzione sostenibile dello smart working, anche tenendo conto di quegli aspetti collaterali come il destino degli uffici: ampi (e costosi) spazi che oggi hanno bisogno di essere ristrutturati per garantire distanziamento e sicurezza, ma anche ripensati con nuove funzioni.

Federico Bianchi di Smartworking Srl affronta proprio il tema dell’architettura citando il progetto “La Passeggiata” di De Lucchi. Il progetto, effettivamente realizzato pochi anni fa, reinventa lo spazio di lavoro in modo distribuito, minimizzando gli effetti negativi ed enfatizzando i vantaggi dell’ufficio.  
Nel progetto le funzioni della vita aziendale sono divise in quattro aree che corrispondono a quattro strutture diverse per tipologia e distanti l’una dall’altra (De Lucchi le nomina il Club, gli Uomini liberi; l’agorà e il laboratorio).
Un elemento di raccordo quadrilobato, simile agli snodi autostradali, distribuisce il traffico pedonale, connettendo ogni area e, soprattutto, facendo del movimento il centro dinamico della vita in azienda. Il contatto con l’ambiente, la salubrità del moto, il senso del vuoto che dilata il ritmo serrato delle riunioni e delle scadenze, contribuiscono a rimettere al centro del lavoro la persona.

E la persona – e ciò che desidera e immagina confortevole – sono in effetti i driver di un lavoro che possa effettivamente definirsi smart. Laura Tosto, Amministratore Delegato di Datacontact, pioniere dello smart working nel BPO, esordisce proprio ribadendo la grande differenza tra i progetti avviati prima del Covid dalla sua azienda e il telelavoro coatto del lockdown. Secondo la Tosto ciò che rende sostenibili ed efficaci le organizzazioni sono modelli blended mutuati sulle dinamiche del territorio e rafforzati da opportuni interventi di ristrutturazione a tutti i livelli – degli spazi di lavoro interni all’azienda (aule formazioni, spazi comuni, postazioni); di spazi di coworking esterni; di infrastrutture fisiche e digitali. Lo smart working non può ridursi a una questione di sicurezza in fase di emergenza né a un mero strumento di saving (di tempo e costi); è invece una risposta sociale in cui Autorità, Trasporti pubblici, responsabili delle infrastrutture viarie e delle infrastrutture digitali, Top Management e lavoratori sono chiamati a condividere esigenze ed escogitare soluzioni per migliorare la qualità della vita
Dall’architettura attuale e futura degli spazi di lavoro parte anche la riflessione di Lelio Borgherese, Presidente Network Contacts, che ragiona sulla dematerializzazione degli spazi in una prospettiva critica.
Da un lato per Borgherese gli spazi comuni sono i luoghi dell’appartenenza. Cita a proposito l’Asilo Nido aziendale di Network Contacts o il recente mini-market che coniuga sostenibilità sociale (vi sono impiegati lavoratori disabili), sostenibilità ambientale (si vendono prodotti a km 0) e sostenibilità economica ( i prodotti sono venduti a prezzo di costo ai dipendenti). Questi luoghi, oltre a garantire il mescolamento delle persone e delle idee, cementano le differenze in un “certo modo di vedere e di fare le cose” che crea identità. La remotizzazione integrale fa evaporare non solo il senso di appartenenza, ma riduce frequenza e ruolo di tutti i legami deboli. In un recente webinar del Mit viene dimostrato come siano solo i legami forti a uscire rafforzati dal distanziamento coatto – con il risultato di alimentare gli atteggiamenti di chiusura propri delle interazioni digitali (le celebri camere dell’eco). Borgherese, che già vede nella tipica struttura a building blocks del BPO un rischio di auto-isolamento dei lavoratori, teme che l’eccessivo ricorso al lavoro da remoto possa accelerare processi di disgregazione, deleteri per ogni organizzazione.
La sua riflessione si avvita sulla domanda: cos’è che rende davvero unico un ufficio? Perché dovremmo tornarci, dal momento che i servizi si possono digitalizzare, il comfort individuale cambia al cambiare dei tempi e nessuno di questi elementi è davvero caratterizzante – non permettendoci dunque di capire di converso l’essenza dello smart working che dovremmo implementare?
E anche la risposta è in realtà una domanda: il carisma è digital?
Se la leadership si caratterizza per la capacità di trasmettere senso ed energie, e non come forma di controllo, allora è la leadership, il carisma individuale, che mantengono salda l’organizzazione e, per effetto contrario, è l’autonomia, la responsabilità e il coinvolgimento del lavoratore ciò che bisogna sviluppare per poter avere modelli di smart working efficaci e competitivi.

Franz Di Bella, Ceo Netith, estende il ragionamento di Lelio Borgherese, proiettando le medesime logiche all’esterno dell’organizzazione, nel territorio. Secondo Di Bella nel futuro la pratica dello smart working diverrà abitudine del pensiero, mindset, postura mentale che ricerca nella flessibilità, nell’apertura e nella circolazione delle idee e dei talenti con tutto il proprio territorio, gli elementi di una progettualità innovativa.
Gli spazi aziendali di Netith – continua Di Bella – hanno già raccolto questa sfida, configurando ampie aree comuni dedicate all’integrazione con le startup e le Università del territorio, in una logica di hub multidisciplinare a favore dell’open innovation. 

La sostenibilità dello smart working però è legata anche a vincoli cogenti, come il trattamento dei dati e la loro assoluta sicurezza – almeno secondo Fernando Palumbo, CCO di Ennova. Palumbo ricorda il ruolo cruciale delle committenze e la necessità di rinegoziare i termini della relazione da un lato, ma sottolinea la necessità di una profonda e continua formazione da erogare ai propri dipendenti dall’altro.
Le procedure innovative che assicurano un trattamento dei dati adeguato devono essere gli architravi sui quali costruire le buone pratiche di un BPO “sharato” – ivi comprese quelle che puntano a rimodulare la relazione umana tra colleghi. A chiusura della tavola rotonda interviene Carlo Rosini, Covisian.
L’organizzazione degli spazi è tema antico per Covisian, le cui sedi hanno luoghi inediti di condivisione per favorire il competence&talent sharing. A valle di questa esperienza, la sfida del lavoro da remoto si fa ancora più complessa perché non si limita a una questione di efficienza ma deve rispondere alle esigenze di engagement. In questo senso, è interessante l’innovazione portata avanti con un’App in dotazione ai Team Leader e alle loro persone. Lungi dall’essere uno strumento di controllo, l’App proietta le persone in un ambiente audio/video condiviso all’interno del quale possono interagire, ricalcando l’esperienza del lavoro in presenza. Un passo in avanti verso la digitalizzazione del carisma?